In the dark, for a while now, I can't stay very far

Biblioteca università - Sophie e Jackson -

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    Sophie Wendel
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    Il freddo fuori era particolarmente pungente e fastidioso, quindi perché non rimanere direttamente nell’università? Sembrava la soluzione più semplice, no? Per Sophie sicuramente lo era. E per mille motivi e anche più. Per esempio, doveva studiare sodo in vista delle consegne post-natalizie, perché doveva consegnare per tempo un trattato teorico su quello che avrebbe messo in pratica poi nell’ultimo semestre. E per ultimare il lavoro aveva bisogno di materiale della biblioteca. Così, alla fine della mattinata di studio aveva mangiato in uno dei locali lì vicino e poi si era chiusa nel magico mondo di scaffali e libri dell’università. Ora, Sophie era Sophie, ed era stata capace di raggiungere il limite di prestiti possibili della biblioteca, per questo quindi era costretta a rintanarsi lì dentro ogni volta in cui doveva consultare nuovi materiali. E per il trattato che stava scrivendo aveva bisogno di un libro importantissimo da cui trarre un sacco di definizioni, per questo si stava trattenendo più spesso del solito in biblioteca in quei giorni. Ora, il pomeriggio di studi era teoricamente finito. Aveva raccolto le sue cose e le aveva posate nella borsa, poi aveva reso il permesso per consultare il manuale e si era offerta personalmente di andarlo a posare al suo posto, sul piccolo palchetto superiore della sala in fondo alla biblioteca. Si era anche già preparata per uscire, quindi aveva le cuffie nelle orecchie e la sciarpona al collo. Il giubbotto invece lo teneva ancora poggiato sulla borsa perché la biblioteca era piacevolmente riscaldata, e non ne aveva ancora bisogno. E poi, il suo morbido dolcevita beige a collo alto la proteggeva da qualsiasi spiffero di freddo. Comunque, invece di posare il manuale, aveva finito col ricordarsi di una parte fondamentale da inserire necessariamente nel suo trattato e si era immersa di nuovo nella lettura, accucciandosi sul palchetto superiore e rimanendo placidamente lì col naso ficcato tra le pagine del libro. E quando leggeva non ce n’era per nessuno, figuriamoci poi quando studiava.
    Il tempo che rimaneva prima dell’orario di chiusura della biblioteca lentamente si consumò, e la dipendente principale che aveva l’incarico di chiudere le sale fece il suo giro di ronda consuetudinario. Sophie era praticamente mimetizzata tra gli scaffali superiori, e non si accorse minimamente del fatto che la sala si era progressivamente svuotata fino a rimanere vuota. Dopotutto era quella in fondo, era sempre la prima a svuotarsi. Solo che quella sera anche le altre erano completamente deserte, o così pareva, perché la dipendente aveva congedato tutti e si apprestava a chiudere la biblioteca. Così, mentre Sophie si apprestava a girare pagina per terminare la lettura di un paragrafo particolarmente importante… buio. Improvvisamente, tutte le luci della sala si spensero. Ma… non solo quelle, sembrava. Tutta la biblioteca era immersa nell’oscurità, così pensò subito a un blackout. Si tolse subito le cuffie, spegnendo il lettore e riponendolo nella borsa. - Ehilà? È andata via la luce? - domandò alla prima persona che si trovasse in ascolto, pensando che effettivamente ci fosse qualche persona in ascolto. Ma senza le cuffie sembrava tutto così… silenzioso. Cautamente, fece luce con il cellulare, posò finalmente il manuale e cercò di scendere la scala a chiocciola senza scatafasciarsi sul pavimento. Dopo un blackout avrebbe dovuto sentire rumori vari di gente che si faceva domande o spostava sedie o accendeva cellulari, come lei. E invece la sua sembrava l’unica piccola fonte di luce, per il momento. Cosa stava succedendo?

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    Jackson Lehmann
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    Avevo un sacco di cose da studiare. L'unoversità era cominciata da un po' e mi trovavo meravigliosamente bene, in più sembravo davvero portato per criminologia, ma forse troppo. Perchè? Beh, il professore di suddetta specifica materia, vedendo il mio interesse, la mia preparazione eccetera, mi aveva dato delle letture in più. Letture che ovviamente dovevo non solo leggere, ma anche riassumere, in un discorso che avrei enunciato a tutta la classe ad una delle prossime lezioni, ovvero appena fossi stato pronto. Ero a buon punto, insomma avevao già letto cinque libri su dieci ed avevo il materiale pronto, ma mi mancavano cinque libri e mettere assieme un discorso con un nesso logico.
    Quindi, quale miglior modo se non andare in biblioteca? Mi dispiaceva solo non riuscire a passare più tempo con Sophie, era una ragazza interessante, lo ammetto, oltre ad essere l'unica persona che conoscevo. Esatto, non avevo stretto nessuna amicizia, ma ero sempre stato per il "pochi ma buoni".
    C'erano stati momenti in cui mi avevano avvicinato, ma col puro scopo di avere i miei appunti o corrompermi per suggerire ed io li sgamavo sempre. Le loro espressioni erano state fantastiche, ma ora molti non volevano neppure sapere chi fossi, troppo gelosi del fatto che fossi il più bravo probabilmente. Ma tornando a noi, avevo preso i libri, li avevo letti lì in biblioteca per poi apputnare tutto man mano, ma c'era ancora un libro che volevo aggiungere, sebbene non nella lista. Mi recai verso gli scaffali più lontani, dove sapevo esserci e consultai anche quello, prima di trovare un tavolo tranquillo dove cominciare a scrivere il discorso, che poi sarebbe stata la lezione stessa.
    Non mi resi conto del tempo che trascorse, tanto che, quando la luce si spense, rimasi un momento immobile. Cosa..? dissi praticamente tra me e me, per poi controllare il cellulare. Ecco, ero rimasto chiuso dentro. Bene. Riposi tutto nella borsa a tracolla, maschile ovviamente, che fungeva da cartella, quindi feci qualche passo.
    Mi parve di sentire una voce, quindi andai da quella parte, vedendo una luce di cellulare in allontanamento, così aumentai un poco il passo, cercando di non ammazzarmi Ehi.. dissi, con quell'oscurità non avevo idea di chi fosse, ma sembrava sicuramente qualcuno che, come me, era stato chiuso dentro, quindi tanto valeva farle sapere che non era da sola, anche se certo non era un'esperienza così piacevole, d'altronde le scuole e le biblioteche, di notte, hanno un che di inquietante..
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    Sophie Wendel
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    Ok, si era fatto davvero tardi, quindi probabilmente era per questo che non sentiva altri rumori. Doveva essere rimasta sola con l’impiegata della biblioteca. Perché l’impiegata c’era, vero…? Un piccolo tuffo al cuore la fece rabbrividire, quando non ricevette alcuna risposta alle sue esclamazioni. Perché nessuno si degnava di rispondere? Doveva pur esserci qualcuno. Non si chiudeva la biblioteca così, dal nulla… anche se era passato l’orario di chiusura, a quanto leggeva dallo schermo del cellulare. Oh-oh. Stava per soccombere a un secondo brivido quando sentì un’esclamazione alle sue spalle. Per un attimo la cosa servì più a spaventarla che a consolarla, sinceramente. Sentire qualcuno avvicinarsi nel buio, dalla parte opposta alla sala in cui avrebbe dovuto trovarsi il personale, non era proprio l’ideale in quel momento. Ma, una volta raccolto il coraggio per alzare il cellulare, quel rantolo di paura si trasformò in muto stupore. Muto per qualche secondo, almeno. - Jackson! - esclamò, esalando finalmente tutta l’aria che aveva trattenuto in quei secondi di confusione. Era bello tornare a respirare regolarmente. L’idea che ci fosse almeno un’altra persona, e una persona di sua conoscenza, in biblioteca, servì a darle un minimo di sollievo.
    Alla fine, il tour dell’università che avevano progettato nel negozio dove lavorava Hilda l’avevano fatto davvero, all’inizio dell’anno scolastico. Aveva mostrato a Jackson tutte le aule in cui si sarebbero tenuti i corsi del primo semestre, le stesse in cui anche lei aveva seguito i suoi primi insegnamenti. Gli aveva fatto vedere anche la biblioteca, la stessa in cui adesso si erano ritrovati. Da quel giorno, in realtà, si erano rivisti in diverse occasioni. Si incrociavano per i corridoi, tra un corso e l’altro, e spesso si erano aggiornati sui loro programmi scolastici. Jackson parlava dell’università proprio come piaceva a lei, con la passione e il gusto di fare quello che stava facendo. Cosa che forse piaceva troppo a lei. Era un’esperienza nuova confrontarsi con qualcuno così appassionato. Con le amicizie che aveva stretto all’università si tendeva spesso a parlare di tutt’altro, al di fuori delle mura accademiche. Con Jackson invece era il contrario. In tutti i sensi, però. Non erano mai più sconfinati nel personale, ma si erano limitati ad aggiornarsi sugli studi, sempre. Non se ne lamentava, comunque. Lo trovava interessante anche solo quando parlava di corsi, e provava sempre un piacere sincero quando lo incrociava per caso da qualche parte, anche se l’incontro magari durava poco. E quindi anche in quel caso, alla fine, sostituì lo spavento iniziale con un senso di conforto. Si portò istintivamente una mano sul petto, sbuffando finalmente un sorriso di ritrovato controllo. Ma durò poco, perché il problema rimaneva. - Scusa, mi sono presa uno spavento. Ma che è successo? Nel giro di un secondo mi sono ritrovata sola e al buio… - domandò, facendo sfumare leggermente la voce. Insomma, dirlo ad alta voce rendeva la cosa ancora più plausibile. Possibile che… li avevano chiusi nella biblioteca?!

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    Il primo pensiero era stato logicamente, che fosse andata via la luce, ma poi vedendo l'ora sul telefono avevo capito che ero semplicemente rimasto chiuso in biblioteca. Andai verso l'entrata, anche se nel mentre sentii una voce, piuttosto lontana, ma andai in quella direzione, raggiungendo così la ragazza. Non la riconobbi subito, stranamente, anche perchè mi semi accecò col suo cellulare, infatti rimasi un momento in silenzio, per poi sentire che mi riconosceva e così sorrisi. Bene era Sophie, almeno non era un perfetto sconosciuto. Sorrisi Sophie.. puoi abbassare quell'arma.. dissi ironico ovviamente, eccetto per l'abbassarla, mi dava logicamente fastidio quella luce, vista l'oscurità della stanza.
    Dopo il nostro primo incontro avevamo fatto il tour dell'università e mi ero innamorato di quella biblioteca. Inoltre se ci incrociavamo nei corridoi trovavamo sempre alm eno cinque minuti per un veloce resoconto senza contare che ormai alla pausa avevamo una sorta di appuntamento fisso. Avevamo sempre parlato di università comunque e non mi dispiaceva, anche se al contempo volevo sapere più cose su di lei. Il problema era che se le facevo domande personali, poi avrei dovuto probabilmente rispondere a mia volta e, ad alcune cose, non ero certo di voler ancora rispondere.
    Comunque sia, tornando a noi, ero contento di averla incontrata, anche se la situazione era alquanto strana ad essere sinceri. Cercai di ricordare se vi erano porte che potevano essere ancora aperte, ma no. L'entrata era solamente una, le finestre erano troppo in alto per riuscire a raggiungerle. Sentendo le sue parole sorrisi Sono spaventoso? domandai, anche se sapevo che non intendeva quello, ma ormai qualche battutina con lei mi veniva da farla, era inutile. Siamo rimasti chiusi dentro risposi con una semplicità estrema E.. fino a domattina non c'è modo di uscire, a meno che non riusciamo a contattare.. qualcuno la informai Oppure se scassiniamo la porta, cosa piuttosto semplice volendo..aggiunsi quieto, offrendole quindi il braccio Intanto potremmo comunque sederci, così mi dici cosa stavi leggendo di interessante.. le proposi sorridendo quieto..
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    Completamente sbigottita da quella situazione surreale, fu un sollievo scoprire che l’altra – e apparentemente unica – persona presente nella biblioteca era Jackson. Non fu però abbastanza rapida a riprendersi, infatti continuò a tenere il cellulare puntato in faccia al povero ragazzo, forse temendo di vederlo scomparire da un momento all’altro. Quando il ragazzo le fece notare l’errore, fece una smorfietta sorpresa e colpevole, poi però si sciolse in una risatina imbarazzata, andando ovviamente a puntare la luce del cellulare da un’altra parte. Sì, forse poteva sembrare anche un po’ buffa, ‘armata’ di torcia del cellulare. Se ci fosse stato un malintenzionato, al posto di Jackson, sicuramente lo avrebbe annichilito con i suoi assi nella manica, proprio. - Scusami, hai ragione - disse semplicemente con voce angelica, sperando di farsi perdonare in fretta. Visto che c’erano tanti problemi da affrontare in quel momento, almeno secondo il suo punto di vista. Ma Jackson trovava sempre e comunque il momento di punzecchiarla o fare un po’ di ironia. A volte lo invidiava, come in quel momento. Sorrise, sicura che almeno un vago riflesso del suo volto fosse visibile al ragazzo. - Beh, sei comparso dal nulla. Nel buio totale. Concedimi un attimo di smarrimento - lo ‘rimproverò’ bonariamente, stando chiaramente allo scherzo. Poi si concentrò su quello che stava succedendo, e ottenne le sue risposte. Esattamente quelle che sperava di non ottenere. Se ne avesse avuta la lucidità, in quel momento avrebbe invidiato anche l’estrema semplicità con cui Jackson stava spiegando l’accaduto. - Ma… - iniziò a protestare, non sapendo nemmeno bene quello che voleva dire. ‘Ma com’è possibile?’ avrebbe voluto dire, solo che ormai era successo, no? Che capissero com’era successo, non cambiava il risultato. - Avevo la musica nelle orecchie, non mi sono accorta proprio di niente - considerò con un verso di stizza, guardandosi a vuoto intorno (visto che era buio), evidentemente dandosi la colpa di tanta sbadataggine. Poi però si rigirò verso Jackson, inarcando un sopracciglio con vaga curiosità. - E tu com’è che sei rimasto intrappolato? - volle sapere, immaginando il suo nuovo mito accademico troppo preso da un libro per accorgersi dell’orario, sorridendo lievemente tra sé al pensiero. Adorava sapere che Jackson fosse secchione almeno quanto lei. Forse poteva prendere la risposta come una consolazione anche per se stessa, chissà. Di sicuro il ragazzo stava rendendo le cose molto facili, come se l’idea di essere rimasto chiuso in un edificio pubblico non lo toccasse più di tanto. Come caspita ci riusciva? Lei, da parte sua, aveva necessariamente bisogno di analizzare il tutto, giusto per non avere una crisi di panico. - E chi potremmo contattare? - gli domandò, tra il disperato e lo scoraggiato. Gli uffici amministrativi, la segreteria, la presidenza, tutto era ormai chiuso. Non potevano di certo contattare un professore, che poco avrebbe potuto fare in un’occasione simile. E poi… se anche un professore fosse intervenuto di persona, avrebbero scatenato un putiferio, e chissà che guai avrebbero passato poi. E per due secchioni come loro non era ideale avere una macchia sul curriculum. E, a tal proposito, la seconda alternativa di Jackson le fece sbarrare leggermente gli occhi. Gli diresse di nuovo la luce del cellulare contro il viso per capire se la stesse prendendo in giro o cosa. Forse anche un po’ per puro e infantile dispetto, su. C’era una cosa che, però, la incuriosiva e, nonostante tutto, divertiva più di ogni altra. - Non ti mancano gli assi nella manica, vedo. Non è che forse sei abituato a rimanere chiuso in biblioteca? - lo stuzzicò con un sorrisetto. Jackson sembrava davvero a suo agio, e non riusciva proprio a spiegarsi il perché. Magari scassinava continuamente la porta della biblioteca, che ne poteva sapere. Ma no, decisamente non reputava veramente possibile quell’alternativa. - Io comunque direi di non fare niente… non vorrei guai - stabilì comunque, risparmiando ancora al ragazzo la luce del cellulare ficcata nelle pupille. Nonostante tutto, le venne da sorridere quando Jackson le offrì il braccio. Nemmeno stessero al chiaro di luna in una sera particolarmente romantica. Una cosa era sicura: tutto sembrava meno terribile grazie alla sua presenza. Ma il cervello di Sophie stava ancora lavorando instancabile, e c’erano molte cose da chiarire. Sì, pensava troppo, ma era da sempre così. Accettò il braccio e seguì il ragazzo facendo luce con la torcia del cellulare, in modo da non scatafasciarsi contro qualche scrivania. Sospirò, facendo il punto della situazione. - Quindi, teoricamente siamo bloccati qui fino all’orario di apertura di domani - commentò lentamente, scrutando Jackson in tralice. Poi un pensiero la colpì. - Scusami solo un attimo, devo avvisare mio padre - mormorò, privandoli per un attimo della bella luce del cellulare, che invece usò per chiamare. - Papà? Ciao, volevo avvisarti che stasera rimango a dormire da Gretchen. Scusa se non ti ho avvisato, non era programmato. Ma non abbiamo finito di studiare, così continuiamo a casa sua. Domani mattina torno prima a casa, non ti preoccupare -. Rispose a un paio di domande del genitore, rassicurandolo in più punti, poi chiuse la telefonata e osservò Jackson con fare solo un po’ colpevole, ma principalmente sorridente. Insomma, nulla contro di lui, ma sicuramente il padre non avrebbe capito. - Se gli avessi detto che sono chiusa in biblioteca, avrebbe mobilitato le forze dell’ordine. Mio padre è un po’ troppo apprensivo - gli spiegò, scrollando leggermente le spalle. Poi, dopo un ultimo sospiro, iniziò a sentirsi più libera. Bene, era chiusa nella biblioteca dell’università per tutta la notte in compagnia di Jackson. Ma forse era meglio non pensarci, ora.

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    Chi si aspettava di trovare proprio Sophie in biblioteca? Certo era che sembrava quasi ci fossimo messi d'accordo o simili. Tuttavia a dimostrazione che così non era, era ovviamente il fatto che mi stesse accecando con il cellulare. Glielo feci quindi notare, almeno potevo riappropriami della mia vista. Ridacchiò e ciò mi fece sorridere, quindi ecco che sentii la risposta Lo so affermai sorridendo divertito per poi festeggiare, circa, quando abbassò il cellulare stesso.
    Le chiesi quindi se mi trovasse spaventoso, e alla risposta che mi diede, non potei fare altro se non ridacchiare In realtà sono il fantasma della biblioteca, mi sono impossessato del corpo di Jackson per spaventare gli incauti che si avventurano qui di notte esclamai, cercando di imitare una voce strana, spettrale per quanto possibile, ma mi venne da ridere leggermente solo a pensarci. Quindi ecco che la informai che ci avevano chiusi dentro, visto e considerato che era chiuso e l'orario era passato. Alla sua esclamazione scossi leggermente la testa, intuendo che mi chiedesse come fosse possibile, ahimè non ne avevo la benchè minima idea. Volli quindi indagare sul come avesse fatto a non accorgersi di nulla e sorrisi Oh beh, io dovevo consultare un libro in una zona remota che nessuno visita le spiegai tranquillamente. Era una fortuna che non soffrissi di claustrofobia.. quanto al buio.. diciamo che non mi spaventava ma mi faceva stare a disagio.
    Mio zio. E' docente proprio qui dissi, anche se la cosa non mi entusiasmava molto, preferivo rimanere chiuso in biblioteca a dirla tutta. Anche se almeno, a lui, sarebbe bastato dire come stavano effettivamente le cose e di certo non avrebbe fatto storie. Comunque sia, le diedi una seconda alternativa, piuttosto facile da mettere in pratica volendo. Sembrò sorpresa da quelle mie perole e venni acceccato nuovamente e portai il braccio a corpirli Entro domani sarò cieco esclamai quindi ironico, sentendo poi il suo commento più domanda Certo che no, bisogna saper uscire da ogni situazione dissi semplicemente, per poi sorridere leggermente Chissà.. le dissi solamente, senza far trapelare la verità in alcun modo, volevo mettere il dubbio, che dispettoso che ero.
    Va bene, ce ne staremo buoni dissi quindi. Le offrii il braccio, almeno sederci potevamo, no? Quindi ecco che intanto andammo a sederci, così nessuno dei due sarebbe morto spiaccicandosi contro qualcosa. Senza il teoricamente le dissi, giusto per "tranquillizzarla" insomma. Poco dopo mi chiese scusa e annuii leggermente Fai pure dissi quindi e, approfittai di quel momento, per mandare un messaggio a mio zio che diceva così "Dormo da un amico. Non aspettatemi, ci vediamo domani. Semplice e conciso in sostanza, se poi contiamo che era una fortuna che non sapesse che non avevo amici, all'università, al di fuori di Sophie, era un bene. C'era Tobias, per quanto ne sapevano ero da lui. Sentii comunque le sue parole al telefono e sorrisi, sentendo poi la sua giustificazione Immaginavo e tranquilla, mi basta solo che non mi hai salvato in rubrica come "Gretchen" esclamai quindi ironico e preoccupato, lo ammetto.
    Allora.. vediamo.. se vuoi per cena ho.. un paio di sandwich e due mele la informai. Si, avevo sempre qualcosa come snack e l'ora di cena era forse passata, forse solo arrivata, ma io avevo fame e parecchia, quindi mi sembrava una buona idea dividere con lei..
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    Poiché lo shock di essere rimasta chiusa in biblioteca era molto forte, la coincidenza di esserci rimasta dentro proprio insieme a Jackson passò in secondo piano. Altrimenti, avrebbe dedicato un sacco di pensieri a quell’evento. Praticamente sperava da un po’ di beccare il ragazzo in un’occasione più tranquilla dei loro fuggevoli aggiornamenti tra un corridoio e l’altro, o tra un panino e l’altro. E adesso, apparentemente, aveva tutta la notte da trascorrere insieme a lui. Ecco, forse era anche meglio che per il momento si dedicasse soltanto a chiarire la confusione della sua mente e a riprendersi dalla sorpresa mista a spavento – a causa della comparsa improvvisa di Jackson.
    Per sua grande fortuna, il ragazzo sembrava a suo agio, nonostante le circostanze, e di conseguenza la stava calmando in fretta e senza sforzo apparente. Ancora presa dal momento, però, non fece ulteriori commenti sul fatto che lo aveva accidentalmente accecato col cellulare, concedendo i festeggiamenti a Jackson e limitandosi a sorridere con fare più rilassato. In altro contesto, non gliel’avrebbe data così presto vinta, forse. Comunque, di sicuro stava ridendo tanto, per essere una che era appena stata rinchiusa in un edificio pubblico. La giustificazione di Jackson per il fatto che le era comparso davanti senza preavviso le strappò una risata divertita. No, la voce spettrale era riuscita soltanto a divertirla ancora di più. E per un attimo si stupì anche di cedere così facilmente a quegli scherzi. Non era proprio da lei. In quei frangenti, si era completamente dimenticata di tutte le questioni razionali che doveva affrontare. Male, no? Non credeva fosse un bene… ma non ne era poi così certa. - Beh, direi che sei partito bene, ma poi hai perso colpi. Dopo averla accecata, la faccia di Jackson non mi fa più paura - informò impavidamente il fantasma, con un sorrisetto divertito ancora in volto. Con il ragazzo le riusciva sempre più facile tenergli il gioco. Poi, spinta dalla curiosità, volle sapere come mai anche lui fosse rimasto vittima dell’orario e delle circostanze. Beh, era come aveva pensato. Era stato assorbito da un libro. Ah, uno dei primi motivi per cui aveva iniziato ad ammirarlo. La cosa la fece arrossire, per qualche imperscrutabile motivo che nemmeno lei immaginava. Essere al buio forse non era solo uno svantaggio, dopotutto. - Cos’è, una zona proibita? - lo provocò semplicemente, tanto per mostrargli che anche lei sapeva – forse – prendere in giro le persone.
    A quel punto, però, tutto il panico per le ‘questioni razionali’ ancora irrisolte tornò a perseguitarla, e partì a raffica con una serie di domande. La prima risposta di Jackson la stupì alquanto, facendole sgranare lievemente gli occhi. - Davvero? Insegna a Psicologia? - gli chiese, dimenticandosi il vero motivo per cui gli aveva fatto quella domanda. Era strano che la cosa non fosse uscita prima, no? No, forse no… in fondo, non parlavano mai di famiglia o parenti. Però, pensare che lo zio forse era stato un suo insegnante e Jackson non gliel’aveva mai detto era… strano. Magari, in realtà, il parente insegnava tutt’altro. Ma per il momento non gli chiese se lo poteva contattare davvero. Non voleva scomodare un insegnante e uno zio di Jackson. Poverino, non voleva che se la prendesse col nipote, magari. Che ne poteva sapere lei, del suo carattere. Così, vagliarono la seconda opzione… davvero per poco, perché lei non aveva intenzione di scassinare alcuna porta, e lo fece capire a Jackson rovesciandogli di nuovo la luce del cellulare negli occhi. Al suo commento, sorrise soddisfatta. Solo che poi finse di prendere la questione a cuore. - No, non ti priverei mai del piacere di leggere libri nelle zone proibite - riprese il suo scherzo di prima, stavolta con pacata tranquillità. E un sorrisetto furbo.
    Poi dovette ammettere che Jackson sapeva il fatto suo… troppo, forse, per essere uno che era rimasto chiuso lì dentro per la prima volta. E la cosa, per qualche motivo, la incuriosiva. Incrociò le braccia, studiando quel poco che vedeva del ragazzo al buio. - Mi chiedo da quali situazioni tu sia già uscito in passato… - commentò con ironia, buttando la cosa sullo scherzo. Ma in realtà era davvero curiosa di sapere. Davvero Jackson aveva scassinato qualche porta in passato? E perché? Ma soprattutto, erano affari suoi? No, quindi era meglio se la piantava. Così, a quel ‘chissà’ si ripromise di non rispondere. Bene, gli avrebbe concesso un alone di mistero. La cosa, nonostante tutto, la divertiva e intrigava. Forse gli avrebbe strappato qualche confessione, in futuro. - Beh, io non lo sono - constatò l’ovvio, scrollando le spalle. - Quindi mi affido a te per uscirne viva - lo informò, e che fosse uno scherzo, una minaccia o un consiglio non lo specificò. Anche lei aveva il suo alone di mistero attorno, umpf.
    A quel punto, comunque, divenne evidente che sarebbero rimasti lì per tutta la notte. Forse era anche la soluzione migliore, in modo da non creare problemi a parenti, professori, bibliotecari o chi altri. Andarono a sedersi nell’oscurità, tanto per mettersi comodi. La notte sarebbe stata moooolto giovane. Dopo che Jackson l’ebbe ‘tranquillizzata’ a dovere, non le rimaneva che avvertire suo padre, e il gioco era fatto. Poi, avrebbe finalmente analizzato la situazione. Il padre fece prevedibilmente parecchie domande, così dopo la telefonata si sentì in dovere di dare una minima spiegazione a Jackson. La sua risposta, ancora una volta la fece ridere. - No, non ti preoccupare. Ma, così ‘mascherato’ nella rubrica, staresti più al sicuro dalle grinfie di mio padre, sai? - lo avvertì, fingendo un tono serio. Poi però raddrizzò la schiena e riprese subito a parlare. - Scherzo. Non è davvero così apprensivo - specificò, giusto per non mandare in allarme Jackson. Era un po’ assillante, certo, ma il padre non si sarebbe mica messo a fare domande sui nomi della sua rubrica telefonica. Ed era sicuramente meglio così. Se le avesse chiesto di Jackson, ne avrebbe parlato così bene che davvero poi avrebbe dovuto cambiare il nome in ‘Gretchen’.
    In ogni caso, le sorprese di Jackson non erano finite lì. Improvvisamente cacciò la cena. Ah, questo era troppo. Dopo l’ennesima occhiata spaesata da parte sua – stava facendo una figura un po’ diversa dalla sicura e vivace commessa del negozio di dischi, eh? – cercò di scrutare nella poca luce che offriva il cellulare il viso del ragazzo. Sbuffò una risatina, breve stavolta, tornando subito mite.- Se avessi motivo di dubitare di te, penserei che è tua abitudine progettare di chiuderti in biblioteca, per come sei attrezzato bene - considerò di nuovo col suo finto tono serio – in questo era brava. Un sorriso, però, lo mise comunque in bella mostra. Chissà se Jackson poteva notarlo, tra le ombre. In ogni caso, non pensava sul serio che il ragazzo fosse un habitué delle nottate in biblioteca, solo che tutto l’insieme era così perfetto da risultare quasi… sprecato, se fosse stata – come credeva – una mera coincidenza. - Comunque, accetto volentieri, grazie. Io non ho niente con me, e domani mattina mi sembra così lontana - ammise, con un sorrisetto più umile e sinceramente grato. Ecco, ora doveva magari distrarsi col cibo, e rinviare ancora il momento in cui avrebbe analizzato la situazione. C’era tempo, no?

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    Era una fortuna, davvero, che non mi lasciassi sconvolgere da molte cose. Se al posto di essere in una biblioteca chiusa, fossi stato in un altro luogo tipo al mini-market dove avevo conosciuto Tobias, in una situazione analoga, beh allora il panico sarebbe arrivato, che nel mio caso si tramutava semplicemente in un essere incapace di fare qualunque cosa. Poi ovviamente, più fosse stato vicino a ciò che era accaduto qualche mese prima, e peggiore sarebbe stata la mia reazione.
    Per fortuna così non era ed anzi, ero semplicemente chiuso nella biblioteca della scuola con Sophie, che davvero ero stato fortunato che non fosse stato qualcun altro. Ero parecchio tranquillo, al contrario della ragazza che sembrava più.. nervosa, non che me ne stupivo, normalmente bisognava essere quantomeno spaventati o se proprio non ciò.. increduli. Fatto sta che la feci ridere e di certo si stava rilassando così. Non ero bravo a fare voci teatrali a comando, mi riusciva solamente la parte del braccio destro di qualche boss cattivo a quanto sembrava. Sentendo quindi le sue parole assunsi un'espressione pensierosa e riflessiva Appuntato. esclamai solamente e beh, ora avevo una sfida, riuscire a spaventarla col mio faccino, sempre che fosse possibile.
    Le spiegai quindi come avevo fatto a rimanere chiuso dentro, storia simile alla sua in sostanza, e sentendo la sua domanda sorrisi No, è la Sezione Proibita dissi e si, ovviamente mi riferivo a quella di Hogwarts, o non ero più io davvero. Ed ecco che non rimaneva altro che analizzare la situazione, da bravi futuri strizzacervelli. Proposi di chiamare mio zio, sebbene non con così tanta voglia e, alle sue domande scossi il capo Insegna Letteratura spiegai quindi, però si capitava che facesse lezione in una delle aule della facoltà di Psicologia per qualche arcana ragione, forse faceva analizzare il pensiero di qualcuno, bo. La mia seconda proposta fu di scassinare la serratura, cosa poco furba visto che avrebbero capito che era stata forzata dall'interno e, probabilmente, non avrebbero impiegato molto a capire chi era rimasto chiuso dentro. Sentendo quanto disse Sophie sorrisi Come sei gentile esclamai quindi leggermente divertito.
    Ero un cervellone, si. Prima o poi avrebbe saputo anche lei che sapevo fin troppe cose, davvero. In effetti ero un soggetto a rischio, se solo non fossi stato furbo e nascondessi normalmente il mio genio incompreso. Sentendo le sue parole riflettei Da un tentativo di rapina a mano armata.. dissi, ricordando l'episodio dove avevo incontrato il poliziotto Ero dalla parte dei buoni ovviamente, te la racconto? domandai, visto che comunque avevamo da starcene lì per un bel po'. Domani sarai tutta intera, promesso le dissi quindi stavolta più rassicurante.
    Andammo a sederci ad uno dei tavoli di lettura, quindi mentre lei avvisava il padre, io mandai un messaggio a mio zio. Sentendo le sue parole sorrisi Almeno metti "Jackie" che si confonde ma al contempo è meno.. meno affermai, non mi veniva la parola, che storia. Sicura? le chiesi quindi sorridendo Allora un giorno vengo a casa tua per conoscerlo si, mi ero appena autoinvitato, magari per una cena, non sarebbe stato male. Poco dopo recuperai dalla mia cartella, del cibo, ero sempre attrezzato già. Sembrò abbastanza spaesata, ma era normale, quindi sentendo le sue parole sorrisi In effetti.. constatai Più che altro preferisco essere pronto a qualunque evenienza spiegai Però non ho portato il sacco a pelo aggiunsi e quella si era una grave mancanza.
    Ripresi il cellulare e misi la torcia, che puntai verso l'alto e allontanai leggermente da noi, ci vedevamo almeno e vedevo cosa facevo. Quindi misi al centro tutto il cibo che avevo e l'acqua Serviti pure esclamai quindi sorridendo, prendendo subito un sandwich Allora, Hilda come sta? domandai, giusto per cominciare a conversare di qualcosa che non fosse sempre la scuola, quello lo facevamo già ampiamente nel corso della settimana..
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    Forse, a posteriori, avrebbe rivalutato l’apparentemente spiacevole episodio della prigionia non voluta in biblioteca come una bellissima opportunità di vivere un’avventura fuori dal comune. Perché lì il caso le aveva piazzato Jackson, praticamente forzandoli a trascorrere un bel po’ di tempo insieme dopo i loro incontri fugaci tra un corso e l’altro. E, chissà, forse avrebbe imparato anche altro dall’esperienza. Di sicuro avrebbe lavorato molto sullo spirito di adattamento e di sopravvivenza. Sulla pazienza. E magari anche sullo smorzamento del panico. Non poteva svalvolare troppo, soprattutto non nel momento in cui Jackson era così pronto a tranquillizzarla. Una nottata in biblioteca, che sarebbe stato mai? Magari doveva pensarla così, e sarebbe stato anche divertente.
    Jackson ci riusciva molto facilmente, a farla divertire. Prima si finse il fantasma della biblioteca, spingendola istintivamente a partecipare al gioco, e facendola ridere lievemente quando si mostrò interessato a ‘migliorare’ le sue doti di spaventatore. Secondo lei non sarebbe mai riuscito a spaventarla, ma non osò provocare il destino, né tantomeno il ‘fantasma’. Poi, Jackson svelò la presenza di una ‘Sezione Proibita’ all’interno della loro biblioteca, giocando fin troppo facilmente con la sua fantasia – e la sua nerdosità in fatto di libri. - E Madam Pince lo sapeva che ti sei intrufolato lì senza permesso? - lo provocò subito, sorridendo rilassata in quel buio totale, a stento rischiarato dal suo cellulare rivolto verso il basso.
    Non era poi così difficile dimenticarsi i problemi… almeno per un po’. Cioè, Sophie non era Sophie se non faceva almeno il tentativo di uscire di lì. E, così facendo, scoprì delle cose inaspettate sul conto di Jackson. Per esempio, che lo zio insegnava in quella stessa università. Chissà come mai non era uscito fuori prima, ma il ragazzo le spiegò che non dava lezioni alla loro facoltà. - Ah, che bello - le venne spontaneo rispondere. Insomma, per lei chi insegnava la letteratura era degno di stima così come la materia che avevano scelto, anche se lei personalmente faceva studi differenti. Però amava leggere, e interessarsi agli autori più importanti. - E vi incrociate spesso? - domandò, spinta sempre da quell’ondata di curiosità azionata dalla sorpresa. Solo a onda conclusa decise che poteva bastare così, e che non era il caso di ficcanasare ulteriormente. Non avrebbero scomodato lo zio per uscire di lì, non sarebbe stato necessario.
    Quindi, cercò di scoprire come mai Jackson avesse così tanti assi nella macchina in fatto di… escapologia. La risposta non tardò ad arrivare, e fu un’altra sorpresa. Ah, quante cose si scoprivano, chiusi in una biblioteca con una notte davanti. - Oddio - mormorò dapprima semplicemente, colta alla sprovvista, sgranando appena gli occhi. Ecco, quella come avventura poteva bastare a rendere Jackson così ferrato in materia, anche se l’idea la inquietava un po’. Quanto era andata male, come esperienza? Quella era roba in cui aspiranti psicologi come lei avrebbero sguazzato, e invece non si sentiva così desiderosa di mettersi a tavolino a ‘studiare’ il paziente. Piuttosto, era incuriosita in qualità di persona, per scoprire qualcosa sul Jackson-ragazzo, e non Jackson-paziente. - Abbiamo tutta la notte, dimmi tutto - gli concesse tranquillamente, solo perché lui si era mostrato abbastanza a suo agio nel parlarne. Forse voleva dire che il trauma era in via di archiviazione, o comunque non si sentiva a disagio a parlare dell’esperienza, altrimenti non si sarebbe offerto, no? Insomma, non ci volevano i suoi studi per capire quello.
    Quindi, una volta appurato che Jackson si sarebbe preso cura di lei, e ringraziatolo con un sorriso appena visibile al buio, andarono a sedersi e tornarono a scherzare. Stavolta si fece scappare una vera e propria risata. - È così che ti fai chiamare? - gli chiese, mantenendo il sorriso. Per qualche motivo il nomignolo lo rendeva più buffo, la divertiva. Personalmente preferiva ‘Jackson’, ma doveva ammettere che come camuffaggio sarebbe stato ottimo. - Di sicuro passeresti per una delle mie amiche, così - gli assicurò, ma al pensiero le scappò un’altra risatina. Niente, la cosa la divertiva e basta. Confidava solo che Jackson non se la prendesse, ma lei credeva fortemente di no. Grazie al cielo, comunque, il padre non le andava a spiare la rubrica, quindi nessun problema. Solo che l’altra affermazione di Jackson la portò quasi inconsciamente ad agitarsi – interiormente parlando, è ovvio. Esteriormente si ‘limitò’ ad arrossire, in un buio che mai come in quel momento era proprio ben voluto. Una cena con il padre e Jackson come ospite. Sarebbe stato sicuramente… interessante. Non osava immaginare le trilioni di domande che avrebbe ricevuto lei, prima e dopo, ma il fatto che Jackson fosse così ‘temerario’ per qualche motivo la colpiva. Non sapeva spiegarsi perché, visto che non ci sarebbe stato niente di male in una cena. Così, dopo le sue rigorose paturnie mentali, si sciolse finalmente in un sorriso. - Certo che puoi. Ti prometto che non morderà - lo rassicurò con una battuta, lasciando tutto nello scherzo. Ma anche lei lo avrebbe accolto sul serio, e con piacere, se un giorno per qualche motivo Jackson fosse davvero finito a casa sua per cena.
    Lasciò i pensieri a tal proposito per il futuro, e si concentrò sul resto. Per esempio, sul fatto che ancora una volta Jackson sfoderò il suo asso. Aveva le maniche straripanti, proprio. Dinanzi alla sua spiegazione, non poté fare altro che annuire. Sì, lo aveva capito che era pronto a ogni evenienza. Dopo la storia della rapina non poteva nemmeno avere tutti i torti. Ma si chiese se Jackson fosse sempre stato così, o se magari fosse cambiato in seguito a quel giorno, o in seguito ad altri eventi… insomma, si stava chiedendo troppe cose su di lui. Ma il fatto era che, come aveva precedentemente immaginato, avere a disposizione più tempo per conoscerlo l’aveva subito reso ancora più interessante. C’era un bel po’ di materiale a disposizione, e avevano l’intera notte per approfondirlo o meno. La questione sacco a pelo, però, fece deviare di nuovo i suoi pensieri. Ecco, quello era un problema abbastanza tangibile. Avrebbero dormito sulle scrivanie? Sulle sedie? Accucciati a terra, uno accanto all’altra, per farsi calore? Non aveva la minima intenzione di tormentarsi già da quel momento. Quello sarebbe stato l’ultimo dei ‘problemi’ da affrontare. Cercando di nascondere un altro velo di rossore e un altro miniscolo spasmo di agitazione, si limitò a scrollare le spalle. - Non potevi essere preparato a tutto tutto. Per il resto ci arrangeremo come possiamo - minimizzò genericamente, reputandola la mossa migliore.
    Così, non rimaneva che cenare a lume di torcia elettrica del cellulare. Non romanticissimo, ma molto efficace. Lei avrebbe fatto la stessa cosa col suo cellulare, se non fosse stata preceduta da Jackson, così sorrise tra sé e sé e posò il suo, in modo da non scaricarlo del tutto. Avrebbero fatto a turno, magari. - Buon appetito - mormorò, prendendo un sandwich e iniziando a mangiare silenziosamente, almeno finché Jackson non le fece una domanda che la portò a sorridere lievemente. - Sta bene. Al negozio va tutto bene. E mi hai ricordato, a proposito, che non te l’ho più detto. Abbiamo vinto - gli disse, mentre il sorriso incrementava lentamente. Non avevano vinto premi in denaro, purtroppo, ma qualcosa che a loro avrebbe fatto bene sicuramente. - La coppia era alla loro prima uscita ufficiale, dopo che avevano capito di piacersi. Lui aveva chiesto a lei dei concerti che aveva visto, e tra una cosa e l’altra sono finiti nel negozio di dischi - gli spiegò con aria tra il divertito e il soddisfatto, naturalmente dando per scontato che Jackson collegasse il discorso al loro primo incontro in negozio, e al loro ‘giochetto’. - Questo è tutto quello che ha scoperto Hilda. Siamo stati bravi, no? - gli domandò, dividendo il merito a metà. Chissà quante prese in giro doveva aspettarsi da Hilda, l’indomani, chiusa dentro come il più disperato topo di biblioteca… ma non era il caso di pensarci. In realtà, il ragionamento le fece scaturire un altro pensiero. - Tu non hai avvisato nessuno, per il fatto che non rientrerai a casa? - domandò a Jackson, ignara del fatto che il ragazzo aveva mandato un messaggio mentre lei si trovava a telefono con il padre.

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    Una cosa era certa. Il fato era stato buono a quel giro. Avremmo potuto incontrare chiunque, come nessuno e invece, eravamo rimasti proprio noi due chiusi nella biblioteca. Sinceramente, quante volte può capitare? Poche, ve lo garantisco. Ma meglio così, almeno avremmo potuto parlare un po’ di più, specie di cose non inerenti la scuola possibilmente, visto che di quelle parlavamo spesso se non per i corridoi, era a mensa, e si, era meglio tenerli da parte per un po’. Al suo contrario, probabilmente, ero molto più tranquillo. In effetti si poteva davvero pensare che fossi un abituè, cosa non vera logicamente, ma era possibile che altri lo pensassero.
    Riuscii a farla ridere, almeno si poté quietare un poco, quindi continuammo a parlare ed ecco che le dissi che ero andato nella “Sezione Proibita” da bravo appassionato della serie di Harry Potter. Sentendo quindi la sua domanda, sorrisi Certo che no, altrimenti non sarei qui. Ma dobbiamo stare attenti a Mastro Gazza e la sua Mrs Purr, se ci beccano loro sono guai esclamai, con tanto di occhiolino. In quel momento mi venne un’idea, ma gliene avrei parlato tra un po’. Di lì a poco, infatti, le proposi qualche metodo per uscire, anche se nessuno sembrava entusiasmarla particolarmente. Tranne se devi fare compiti di letteratura commentai divertito, io non ne avevo ma mia cugina si ed era stressante. Alla domanda seguente riflettei un momento Diciamo che vivo da lui, quindi si. Ma a volte mi convoca nel suo ufficio, così da provare a parlare si, insomma, non ci parlavo molto visto che spesso voleva che parlassimo di quel che era successo.
    Le raccontai poi un episodio, che spiegava in qualche modo come mai sapevo una buona dose di informazioni per uscire da luoghi chiusi. La sua esclamazione mi fece sorridere, anche se in realtà era meno tremenda di quanto si pensasse In breve, ero in questo mini-market, dei rapinatori incapaci son entrati. C’era anche un poliziotto, che ad un certo punto si è trovato sotto tiro. Quindi ho usato le conoscenze psicologiche, e la mia grande attitudine alla recitazione, per distrarli dissi in breve A livello di scasso, comunque, ho solo scassinato la porta di casa una volta, perché avevo scordato le chiavi e non c’era nessuno che mi potesse aprire aggiunsi poco dopo.
    Dopo esserci seduti quindi, ecco che si parlò un momento di suo padre. Alla sua domanda la osservai Se dovessi fare la parte di un trans, si. Sennò Jackson risposi quieto. In fondo non amavo i diminuitivi, al contrario. Al massimo do il permesso a te, di usarlo aggiunsi quindi, riferendomi a “Jackie” ovviamente. Posso anche fare una voce femminile se vuoi, o meglio.. provarci esclamai divertito. Ah sarebbe stato divertente, diciamolo. Visto l’argomento, dissi che poteva essere interessante, per me, conoscere suo padre. Mi resi conto solo in un secondo momento, di come poteva apparire, ma non dissi nulla ovviamente. Ed ecco che finalmente, rispose e sorrisi Ah è più facile che morda io esclamai divertito, anche se non era del tutto falso, diciamolo. E poi la visione di noi a cena a casa sua, non mi disturbava, al contrario.
    Tirai fuori il cibo che mi ero portato dietro, così da condividerlo con lei. In realtà stava diventando una mania, avere diverse cose, così da avere tutto sotto controllo. Probabilmente era una conseguenza alla notte famosa, dove avevo perso i genitori, probabile. Studiando psicologia mi stavo praticamente dando diagnosi da solo. Purtroppo non avevo pensato ad avere un sacco a pelo, quindi cominciai a pensare a come potessimo fare. Ben detto, troveremo qualcosa affermai quieto, sorridendole cercando di rassicurarla.
    Dopo aver diviso il cibo, non rimase che cominciare a mangiarlo e così le augurai buon appetito. Le chiesi quindi di sua sorella e sorrisi Ah bene. Siamo una grande squadra esclamai porgendole la mano aperta, così da battere cinque, sempre che volesse logicamente. Ascoltai quindi quanto aggiunse Che carini commentai, anche se non si capiva se lo pensassi davvero o fossi uno di quelli che disprezzava quelle cose, semplicemente non ne avevo idea. Siamo stati geniali, Watson esclamai ridacchiando, visto che così mi ero autoproclamato Sherlock. Ho mandato un messaggio a mio zio le risposi tranquillamente, come se fosse normale. Beh, per me lo era Allora, ho pensato ad una cosa. Stanno cercando volontari per organizzare una sorta di ballo di fine anno qui, all’università. Pare che nessuno si sia proposto, o non hanno buone idee.. ma.. se ci iscrivessimo proponendo Harry Potter? le proposi quindi, piuttosto tranquillamente.
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    Davvero nessuno di quelli che la conoscevano avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che si sarebbe messa a ridere e giocare dopo essere stata inaspettatamente rinchiusa in biblioteca. Piuttosto si sarebbero aspettati di vederla pensare a tutte le alternative possibili, a mettere in scena una bella ma posata esibizione di panico. E invece, eccola là. Jackson l’aveva distratta al punto da farle dimenticare il dramma, facendola addirittura divertire. Beh, non era poi così strano, ora. Le aveva semplicemente impartito una lezione, non esplicita ma comunque molto chiara: era inutile rimuginare sul disastro ormai compiuto. Non c’era niente di male in una piccola ‘avventura’ (a parte il fatto di dover dormire a terra, senza un letto, senza una doccia, senza un pigiama, dicendo bugie a suo padre per non farlo preoccupare, ma insomma, cose così). E poi, lei e Jackson avevano finalmente l’occasione di conoscersi un po’ meglio. Anche se sarebbe bastato un pranzo insieme in mensa, davvero. Non c’era bisogno che il fato li rinchiudesse in una biblioteca buia e inquietante. Così inquietante che pensarono subito di fare un po’ di ironia con citazioni ad hoc. Jackson sembrava molto bravo in queste cose. Rise di nuovo, ormai quasi completamente rilassata. - Ah, verissimo. Da loro davvero non possiamo farci vedere, anche se sfuggire a Mrs Purr è praticamente impossibile - considerò, con tanto di finto cipiglio meditabondo, poi tornò a sorridere.
    Scoprì che lo zio di Jackson insegnava all’università, e non poté fare a meno di chiedere qualcosina in più, sorridendo con partecipazione dell’idea di un parente che a casa non riesce a non fare anche il professore severo. - Oh - esclamò alla fine con aria di comprensione, mettendo presto insieme tutti i pezzi del suo puzzle. Ah, in questo modo finalmente aveva risolto qualche mistero della vita del ragazzo. A quanto pareva si era trasferito in Germania appoggiandosi allo zio e iniziando gli studi universitari in città. La cosa la incuriosiva non poco. E perché lo zio avrebbe dovuto convocarlo per ‘provare’ a parlare? Non andavano d’accordo? Dopo un minuto scarso di silenziosa riflessione, alzò gli occhi su Jackson. - E come mai ti sei trasferito qui? Per studiare? - domandò infine, trovando il coraggio necessario per una domanda così personale. In genere lei non sconfinava mai, ma le piccole incongruenze nel resoconto di Jackson la privavano di un quadro completo. E quella era un’occasione per sapere di più l’uno dell’altra, no? A quel punto era anche curiosa di capire quanto tempo il ragazzo sarebbe rimasto in città. Per quel che ne poteva sapere, dopo la laurea sarebbe potuto tornare in Scozia.
    Nel frattempo, finirono a parlare di un episodio di rapina di cui Jackson era diventato protagonista. Lo ascoltò fissandolo con tanto d’occhi, pensando che nell’oscurità il suo sconcerto non fosse poi così tanto visibile. Beh, diciamo che l’aneddoto l’aveva colpita non poco, al punto che – come al solito – si prese un po’ di tempo prima di rispondere. - Wow… meno male che è andato tutto per il meglio! - fu la prima cosa che sentì di dover chiarire. Poi, posò lo sguardo su Jackson con fare tra il meditabondo e il colpito. - Io mi sarei spaventata a morte… Però, sei riuscito già a usare sul campo le tue conoscenze psicologiche. Superato il trauma, penso che come esperienza possa servirti molto - parlò sinceramente, sperando che Jackson non la fraintendesse. Ma non pensava che fosse possibile. In qualità di aspirante criminologo, probabilmente poteva capire quello che intendeva lei. Insomma, scoprire in una prova del genere, assolutamente non voluta, che la conoscenza della mente umana serve effettivamente a qualcosa… insomma, era rimasta alquanto colpita. Lo guardò con tanto d’occhi ancora per un po’, poi pensò di piantarla perché la luce del cellulare poteva benissimo tradirla. Quanto alla recitazione, concordò intimamente col fatto che Jackson fosse portato, ma non se la sentì di indagare. Per il momento aveva scoperto abbastanza. Ma, doveva ammetterlo, se lo figurava benissimo, mentre utilizzava le sue doti di ‘attore’. Sorrise tra sé. E sorrise con aria indulgente anche quando scoprì che lui di scassi non ne aveva fatti poi tanti. Si era discolpato a dovere, aveva il suo benestare. - Beh, in quel caso non potevi fare altrimenti - gli concesse con un sorrisetto quasi allegro.
    Poi, per qualche inspiegabile motivo, finirono a parlare di suo padre. Cosa che l’avrebbe imbarazzata a morte, se si fosse fermata a pensarci su. Per fortuna, non ci pensò. Ridacchiò della risposta di Jackson, poi esultò intimamente per il fatto che non si facesse davvero chiamare col diminutivo. - Ah, a me ‘Jackson’ piace molto, in realtà. E ti sta bene - confessò, facendogli capire che no, non lo avrebbe chiamato Jackie. Anche se ridacchiò un’ultima volta immaginando di farlo davvero. No comment invece sul presunto invito a cena per Jackson. Immaginare suo padre… era terrificante. Ma questo ovviamente non lo disse. Piuttosto, sgranò con un misto di divertimento e reale stupore gli occhi quando sentì la precisazione di Jackson. - Morderesti mio padre? O me? - non aveva capito davvero, ma forse non era poi così desiderosa di saperlo. Entrambe le prospettive erano… erano. Si sentiva imbarazzata e divertita al contempo, ma per fortuna la nonchalance del ragazzo la aiutava a non svalvolare e scappare via.
    Così, riuscirono pure a sistemare tutto per la ‘cena’. Parlarono di Hilda, della coppia che avevano visto durante il loro primo incontro. Colpì prontamente la mano del suo ‘compagno di squadra’, raccontandogli del loro successo assoluto. Poi scoppiò a ridere. - E perché dovresti essere tu Holmes? - gli domandò con un principio di protesta, perché insomma Sherlock era un po’ più deduttivo di Watson.
    Quanto al fatto che Jackson avesse avvisato lo zio tramite messaggio, fece un verso di comprensione e annuì, sentendosi un po’ stupida. Avrebbe dovuto pensarlo, che a lui poteva bastare un messaggio. Errori da principiante, e continuava a farne. Doveva stare più attenta. Anche se, comunque, aveva appena scoperto che viveva con lo zio. Magari con lui non c’era lo stesso rapporto che può esserci con un genitore. Magari non era la prima volta che Jackson dormiva fuori. Erano cose che non poteva sapere. Ma non le fu necessario indagare.
    Invece, divenne tutta orecchi per quello di cui la informò il ragazzo. Sembrava cadere dalle nuvole. - Non ne avevo la minima idea - disse miss vivo-nel-mio-mondo-di-studi-ogni-tanto-mi-perdo-la-vita, sorridendo con sempre più fermezza in risposta all’idea di Jackson. - E tu chi saresti? L’elfo Dobby? - lo punzecchiò, con aria divertita, salvo poi farsi appena più seria. - È un’idea bellissima! Immagino le bibite a tema, e le decorazioni ad hoc, con le lanterne al muro. E la musica… - eeeeed era partita. Le si erano fatti gli occhi a cuoricino per qualcosa di diverso dallo studio. Era un male? Un bene? Chissà. Ma sembrava, sembrava che approvasse l’idea. - Dobbiamo provarci - riuscì a dire tra un trip e l’altro, facendo un largo sorriso a Jackson.

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    Sophie era una creatura particolare. Appena l'avevo vista in lontananza, era sembrata spaventata, in qualche modo. Poi avevo fatto la mia scenetta del fantasma che prova a recitare la parte del cattivo e non lo era sembrata poi tanto. Avevo quasi l'ardire di affermare che fosse un po' merito mio, di quella sua rilassatezza. Sarà strano, ma ero contento che ci fosse lei lì in biblioteca e non qualcun altro. In quel caso, sarei pure rimasto nascosto, o sarei arrivato a disturbare mio zio, non saprei di preciso quale delle due. Ma c'era Sophie, per mia fortuna e potevamo approfittare dell'occasione, per parlare di cose che non fossero legate al percorso di studi.
    Mi ero reso conto che, purtroppo, non avevamo mai parlato molto e la cosa mi dispiaceva. O, meglio, parlavamo solo di scuola ed era una cosa triste, specie se pensate che Sophie era la mia sola amica sostanzialmente. Ok, magari essere rinchiusi nella biblioteca di notte, non era il massimo dei luoghi e situazioni per parlare, ma ci stavamo adattando piuttosto bene, diciamocelo. Aggiungiamo i riferimenti ad Harry Potter e.. beh, la morte, davvero. Alle sue parole sorrisi E chi lo ha detto? Inoltre noi siamo intelligenti, possiamo riuscire a imbrogliarla affermai annuendo quieto, ma al contempo sorridendo divertito.
    Fatto sta che poi, le rivelai che mio zio lavorava lì all'università come docente e ci rimase un poco. Non che fosse questa gran cosa, dal mio punto di vista. Le raccontai ancora qualcosa. Mi ispirava fiducia in un certo senso, anche se poi fece una domanda abbastanza difficile Diciamo per.. cause di forza maggiore dissi quindi. Non volevo affrontare l'argomento in sostanza. Tu invece, cosa mi dici? domandai e si, poteva raccontarmi qualunque cosa volesse condividere con me.
    Nel frattempo continuammo a parlare e le raccontai dell'episodio che mi fece incontrare Tobias. Sentendo quel suo commento annuii Decisamente, siam stati fortunati esclamai quieto mentre mi giungevano le parole successive Chi ha detto che non ero spaventato? Semplicemente non volevo stare a guardare e basta.. dissi, mentre nella mente, per forza di cose, rividi la notte della morte dei miei. Quello era un trauma che non avevo ancora superato. Sicuramente si, dal punto di vista di pratica è stato utile.. osservai quindi. Sollevai lo sguardo sul suo viso, vedendole assumere numerose espressioni differenti che mi fecero sorridere Sei tenera, lo sai? domandai quindi, molto quieto. Questo prima di parlare di scassi ovviamente.
    Successivamente parlammo di suo padre e di nomignoli effeminati. Alle sue parole sorrisi Ti ringrazioesclamai quindi sincero, tenendo lo sguardo sul suo viso. Tuo padre. Te mai affermai annuendo, così da accompagnare quella mia affermazione. Poco dopo sistemammo anche la nostra cena, chiamiamola così, almeno potevamo mangiare qualcosina e non avere i crampi della fame. Perchè spesso, Watson è più intelligente di Holmes le spiegai. Era vero, alcune versioni vedevano Sherlock meno.. intuitivo se vogliamo. Fatto sta che continuammo la nostra conversazione e, anzi, mi ricordai di una cosa che le proposi ovviamente.
    No, io sarei Barty Crouch Jr affermai con un sorrisetto, sentendo poi quanto disse Esattamente! Vedi che ci capiamo? domandai, con tanto di occhiolino, sentendo poi la sua risposta Bene, allora domani, prima della seconda ora, andiamo a proporci, dando anche il tema affermai e si, avevo deciso ormai Sto parlando troppo, voglio che mi racconti qualcosa di te.. tipo, sei figlia unica? domandai E vai d'accordo con la tua famiglia? chiesi, tanto per cominciare..
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    Scusa l'attesa <3
     
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    Era sempre straordinario ripensare a una situazione dopo i primi istanti di panico e di mancata lucidità mentale. Ora le sembrava solo un’elettrizzante avventura da fare almeno una volta nella vita, quella di rimanere barricata in una biblioteca buia e tenebrosa. Ma aveva Jackson, e Jackson la stava facendo divertire. Davvero, a volte si creava troppi più problemi del dovuto. O forse era semplicemente meglio non pensare troppo. Per un po’.
    Partirono con delle citazioni harrypotteriane, che onestamente calzavano a pennello con l’atmosfera e l’ambiente di quel momento. Il punto di vista di Jackson la fece riflettere, ma sempre col sorriso. - Tu dici, eh? Beh, possiamo provare - concesse infine, con un’allegra scrollata di spalle. Forse loro due insieme ne potevano davvero combinare tante. Non le sarebbe parso assurdo, in effetti.
    Poi però parlarono di cose un po’ più serie. Insomma, grazie a quell’assurda situazione aveva scoperto un bel po’ di cose sulla vita privata di Jackson, più di quante ne aveva scoperte durante tutti i loro incontri precedenti. Cioè, si incontravano sempre all’università e non aveva mai saputo dell’esistenza di uno zio docente. E quello zio docente le fece capire anche dove vivesse Jackson. Le mancava solo il perché, le motivazioni dietro quel trasferimento preciso in Germania. Per studiare in un ambiente più dinamico? Per cambiare aria? Facendosi coraggio, decise di chiederlo direttamente a Jackson, anche se quelli non erano assolutamente affari suoi. E, infatti, ricevette una risposta elusiva. In quel caso non ci voleva uno psicologo, un esperto, né tantomeno uno studente della materia per capire che il ragazzo non voleva parlare della cosa. Era abbastanza lampante. E la scoperta la spinse ad abbassare gli occhi – un gesto istintivo più che utile, visto che comunque al buio poteva facilmente nascondere i suoi rossori e le sue espressioni – e frenare qualsiasi tentativo di approfondire. Si chiese solo per un momento quali fossero le ‘cause di forza maggiore’. Grande lite con la famiglia? Era stato diseredato? Disconosciuto? Scappato di casa? Stoppò qualsiasi ipotesi. Se Jackson non voleva parlarne, lei non doveva pensarci. Forse sarebbe uscito più un là, un giorno. - Ah, capisco - mormorò semplicemente, con un piccolo cenno d’assenso rivolto all’oscurità, anche se ovviamente non capiva. Ma diciamo che piuttosto capiva la necessità di Jackson di tenersi per sé alcuni argomenti. Per sdrammatizzare, comunque, chiese con voce più candida: - E ti piace qui? Pensi che ci rimarrai a lungo? -. Questa non era una domanda invasiva, no? Almeno lo sperava. Sicuramente era meglio del vicolo cieco in cui erano finiti, anche se Jackson era stato come al solito molto bravo a non farla sentire in colpa né a scomporsi personalmente.
    La contro-domanda del ragazzo, comunque, la colse completamente alla sprovvista. Con due occhi spaesati cercò di intercettare lo sguardo dell’altro tra l’oscurità. - Perché mi sono trasferita, intendi? - domandò come chiarimento. Non ricordava nemmeno se gli avesse già detto di non essere di Monaco, quasi sicuramente sì, ma comunque si sentiva in debito con lui e quindi rispose subito, senza pensare a se, come, quando, dove, perché ne avevano parlato. Era brava anche lei, no? - Perché mio padre è stato trasferito qui per motivi di lavoro, e io e mia sorella lo abbiamo seguito. Mia madre è rimasta a Berlino con il suo nuovo compagno… e suo figlio. Cioè, mio fratello - si corresse con indecisione, ma per il resto aveva parlato in maniera abbastanza spedita, chiosando il tutto con un’alzata di spalle. Non era tanto tragica, in fondo. Non sapeva nemmeno perché aveva dato tutti quei dettagli. Forse per il piccolo senso di colpa? Poco importava. Avevano tutta la notte per parlare, e domande del genere sarebbero uscite comunque. E naturalmente non pensò di vendicarsi non dicendo niente, solo perché Jackson a un certo punto aveva deciso di non darle più informazioni. Aveva avvertito quell’indecisione, ed era l’indecisione di chi ha difficoltà a parlare di una cosa. Non lo biasimava affatto, anzi.
    Dopo poco, comunque, affrontarono un altro argomento delicato: la rapina a cui Jackson aveva assistito. E non solo. Represse qualche brivido, ragionando insieme al ragazzo. - Ma non hai permesso alla paura di penalizzarti. Nel mio caso probabilmente mi avrebbe paralizzata - chiarì quello che intendeva dire, quando aveva parlato di paura e ostacoli. Insomma, Jackson era giovane e umano, non metteva in dubbio che fosse spaventato. Si sarebbe preoccupata del contrario, piuttosto. Fecero qualche ragionamento sui loro studi, si trovarono fortunatamente d’accordo, poi Jackson fece un’altra osservazione che la prese ancora una volta alla sprovvista. Non poteva umanamente prevedere un’uscita del genere, né perché non poteva vedere le sue facce strambe né perché stavano parlando di tutt’altra cosa, di rapine e casini vari, e insomma non se l’aspettava. Per questo, quindi, arrossì sulle guance e distolse lo sguardo, ma il fattore oscurità ancora una volta giocava a suo vantaggio. - Beh, mi hai fatto preoccupare - constatò in maniera elementare, come una bambina, stavolta lasciando da parte battute e ironia. Scrollò le spalle come se non avesse fatto niente di male, e in effetti Jackson non aveva detto niente di male, anzi. Quindi, coraggiosamente, riuscì a passare oltre.
    Come diamine erano arrivati all’immagine di suo padre morso da Jackson? Come?! Forse era meglio se non se lo chiedeva. Così facendo, almeno, invece di preoccuparsi o spaventarsi per l’immagine appena creata, scoppiò semplicemente a ridere in faccia a Jackson. - Per quale oscuro motivo dovresti mordere mio padre? Questa immagine mi sta procurando numerosi danni cerebrali, sappilo - lo avvertì con un’ombra di scherzoso rimprovero, aggrottando le sopracciglia al di sopra del sorriso. Quanto a Watson e Holmes, si limitò a inclinare il capo di lato. - Ma il fatto è che Sherlock pensa il contrario, quindi tu dovresti avere una bassa considerazione di me - gli fece notare, divertita per la sequela di ragionamenti – inutilissimi – che stavano portando avanti.
    Poi tornarono allegramente a Harry Potter. Si stupì leggermente per la scelta decisa di Jackson del suo personaggio. - E perché proprio Barty Crouch Jr? - domandò con viva curiosità ed esplicita meraviglia. Poi, inclinando di nuovo la testa, studiò il volto di Jackson per quel che poteva, con la sola luce del cellulare. - Ti ci vedo proprio bene - decise infine, con un buffo annuire del capo che voleva trasmettere solennità. Jackson nella parte di uno squilibrato sarebbe stato perfetto, non aveva dubbi. Lo aveva capito quella sera stessa. - E io chi dovrei essere, secondo te? - chiese con curiosità e un leggero sorriso. Jackson sembrava sapere sempre tutto, voleva davvero capire come la inquadrava.
    Quindi, deciso il tema della festa – chissà se poi glielo accettavano, però, ma quelli erano dettagli – Jackson volle sapere qualcosa della sua famiglia. Beh, a quel punto non aveva motivo di fare la schiva. - Vado molto d’accordo con la mia famiglia. Cioè, litigo spesso sia con mia sorella che con mio padre, ma questo non vuol dire niente. Mia sorella è una testa dura, e a volte ci scontriamo, mentre mio padre ogni tanto è troppo oppressivo. Non lo fa con cattiveria, ma si preoccupa il doppio da quando viviamo solo noi tre - spiegò, scoccando numerose occhiate a Jackson per capire cosa ne pensasse della sua stramba famiglia. Poi venne la parte difficile, prima della quale esitò un po’. - Poi… con mia madre vado d’accordo. Anche il compagno è una brava persona. Mio fratello è piccolo, ma è un bambino gentile… - aggiunse. Sì, era stata più concisa, ma era anche comprensibile. Dopo una pausa, per lei interminabile, si girò di nuovo verso Jackson. - E tu vai d’accordo… con i tuoi zii? - chiese. Degli zii sapeva già qualcosina, quindi forse era meglio limitarsi a loro.


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    Probabilmente a Sophie non era sembrato, quando ci eravamo incrociati, ma ero stato davvero sollevato di vederla. Avevo una sorta di trauma multiplo, dovuto a ciò a cui avevo assistito e rientrava anche una sorta di paura del buio, nemmeno fossi stato un ragazzino delle elementari, ma era anche comprensibile. Tornando a noi, appena avevo realizzato che era lei, mi era sorto un certo quantitativo di coraggio e volevo anche farla calmare, perchè da lei era decisamente evidente la preoccupazione. E così ero riuscito a superare in qualche modo la mia paura, accantonarla, per aiutare Sophie.
    Aiutare gli altri era terapeutico, era una cosa ormai risaputo, e me ne stavo rendendo conto da me. In quel luogo, visto il momento, fu naturale che uscissero delle citazioni e dei riferimenti puramente voluti ad Harry Potter. Ti prendo in parola, lo sai vero? domandai quieto, con un leggero sorriso, per poi osservarla, mentre la conversazione andava a toccare altri argomenti più o meno seri. Le rivelai qualche cosa della mia vita che ancora non sapeva e lo stesso fece lei. Probabilmente le mie risposte, avevano fatto si che avesse qualche domanda, ma non me ne pose, come se temesse di risultare invadente. In realtà in parte lo sarebbe forse stata, ma più che altro, c'erano cose che non ero pronto a condividere e, in quanto studioso di psicologia, sapevo di doverne parlare con qualcuno, prima o poi.
    Sophie provò a chiedermi qualcosa, ma fui piuttosto elusivo e la vidi abbassare lo sguardo, anche nella penombra. E' un argomento delicato, te ne parlerò, ma non ancora.. le spiegai quindi e si, volevo parlargliene, davvero, semplicemente non ero pronto, avevi un blocco che si attivava quando provavo a cercare le parole. Sembrò tranquillizzarsi della cosa, o perlomeno la mise da parte e gliene fui grato. Alle sue successive domande sorrisi All'inizio non mi piaceva, ma da qualche tempo sto cambiando idea il motivo era lì di fronte e sorrisi leggermente Comunque penso di rimanere a lungo, si. Probabilmente non ti libererai di me facilmente affermai mettendo la cosa in modo ironico, sapevo che non le dispiaceva la mia compagnia. Le rigirai quindi la domanda sul come fosse finita a Monaco e, alla sua domanda di conferma, annuii, ascoltando poi le sue parole. Ricordavo che mi aveva accennato la storia, almeno, mi suonava familiare Non ti piacciono il compagno di tua madre ed il tuo fratellastro? domandai quieto, anche se ovviamente non era obbligata a parlare, anzi.
    Le raccontai poi della rapina dove avevo conosciuto Tobias, quindi ascoltai le sue parole e sorrisi leggermente. In realtà ero stato nel panico per un momento, solo che non volevo rivedere persone morirmi davanti agli occhi, standomene senza fare nulla.
    Successivamente passammo a parlare di suo padre e di un'ipotetica presentazione con cena, sarebbe stato divertente. Quando le dissi che suo padre doveva temere, al contrario suo, sorrisi leggermente dal suo arrossire, sebbene si vedesse appena con quella poca luce. Sentendo le sue parole, sorrisi tra il divertito e l'intenerito. Non passò molto che sentii la sua domanda Nessuno in realtà, è per dire che potrei essere pericoloso, a parole. Nulla di grave, tranquilla dissi sinceramente ed era vero, mica ero un cannibale, nè tantomeno ero sotto l'influsso di Carestia. Fatto sta che poi passammo ad altri argomenti, come quello di Sherlock e Watson In realtà non in tutte le versioni. In una, non ricordo quale, Watson era effettivamente più intelligente di Sherlock. dissi e quindi no, non pensavo minimamente fosse meno intelligente di me.
    Mi venne poi in mente che cercavano volontari per organizzare il ballo di fine anno, o una cosa simile, e le proposi di proporci così da proporre Harry Potter come tema. Alla sua domanda la osservai E' un personaggio affascinante, mezzo pazzo.. credo che mi si addica in qualche modo dissi quindi, sentendo anche la sua conferma e sorrisi, non in modo inquietante o mi sarebbe morta e non era mia intenzione che accadesse. Attesi quindi che mi dicesse lei chi poteva essere e, alla sua domanda, la osservai per un momento Probabilmente sono scontato, ma dico Hermione anche se non aveva i capelli rossi, ma erano dettagli futili. Oppure Luna aggiunsi quasi subito, aveva un piccolo lato strambo a dirla tutta e infatti ridacchiai. Tornammo su di un argomento serio e ascoltai attentamente le sue parole E' normale litigare, quando si divide lo stesso tetto.. osservai quieto, per poi sorridere leggermente, almeno sembrava avere una situazione familiare serena, per quanto poco.
    Più o meno, nel senso che è un momento delicato, per me, e non ho molta voglia di parlare o altro.. dissi quindi Però sono brave persone, mi vogliono bene e si preoccupano per me... dissi, cominciando a "sparecchiare" Che dici, cerchiamo un posticino per dormire senza stare troppo scomodi? proposi osservandola. In fondo almeno un paio d'ore di sonno dovevamo farcele, anche se dovevamo pure fare in modo che nessuno sapesse che eravamo rimasti chiusi lì..
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    Sophie Wendel
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    Chissà se per lo shock di trovarsi in quella situazione o per chissà che altro, ma Sophie si era lasciata convincere fin da subito dalla tranquillità di Jackson. Non aveva pensato nemmeno per un attimo che anche il ragazzo si fosse preoccupato per l’inconveniente o roba simile. Sì, certo, magari aveva dato per scontato che il momento di smarrimento iniziale c’era stato, ma poi cosa? Lei l’aveva visto arrivare con la battuta pronta e un piano ben congegnato. Insomma, Jackson era stato proprio bravo a nascondere le sue paure, al contrario di lei. Ma lei, fortunatamente, si era fatta subito calmare con diversi e meravigliosi argomenti random.
    Per quanto riguardava Harry Potter, a un certo punto iniziò a perdere il filo del discorso nonsense. Jackson l’aveva presa in parola per qualcosa di non specificato. E lei, a quel punto? Scrollò ancora una volta le spalle. - Quando preferisci, ci faremo chiudere dentro in qualche aula o laboratorio - gli concesse bonariamente. Scherzava, era chiaro. Lo stava solo punzecchiando un po’. Si sentiva decisamente più tranquilla.
    Poi però finirono a parlare di cose molto più impegnative. Una risposta elusiva di Jackson aveva reso la sua storia personale un grande punto interrogativo. Era successo qualcosa che l’aveva costretto a trasferirsi a Monaco, ma lei non aveva il coraggio di chiederlo. Faceva male o bene? Non disse nulla, ma il ragazzo sentì di doverle dire comunque una minima cosa. E a quel punto alzò gli occhi su di lui, nonostante l’oscurità. Non sapeva perché, sentiva che quella frase significava tante cose insieme. Innanzitutto, che c’era una storia brutta nel passato di Jackson. In secondo luogo, che prima o poi gliel’avrebbe raccontata. Terzo, che forse le loro scelte di studiare psicologia non erano poi del tutto casuali. - Quando vuoi. Io sono qui. Prenditi il tempo che ti serve - gli fece queste tre rassicurazioni, una dopo l’altra, con piccole pause che mettevano enfasi su ogni concetto. Doveva fargli sapere che era disponibile ad ascoltarlo, ma anche che non voleva forzarlo. Per il momento, non poteva fare di più.
    In ogni modo, cercò di sviare leggermente il discorso, perché se Jackson non voleva parlare del suo trasferimento lei non voleva assolutamente farglielo pesare. Così pensò di focalizzare l’attenzione sul post trasferimento, e su quello che significava per il ragazzo. Così Jackson tornò a sorridere e lei si sentì subito più tranquilla. Anche se la risposta, ancora una volta, destò la sua curiosità. - Perché non ti piaceva? - domandò con una smorfietta, per mostrare che era perfettamente consapevole di essere una ficcanaso, ma anche che non poteva fermarsi. - Cosa ti ha fatto cambiare idea? - continuò con il doppio della curiosità, chiaramente ignara di aver dato anche solo il minimo contributo alla causa. Lei, miss psicologa. Comunque, prese la rassicurazione di Jackson sul fatto che sarebbe rimasto nei paraggi con una leggera risata (di sollievo? Chissà, può darsi). - Ah, e va bene. Allora cercherò di abituarmi - sospirò. Anche lei chiaramente scherzava, perché ormai sapevano entrambi che la reciproca compagnia era cosa gradita. A che pro nasconderlo. Pensava lei, sempre miss psicologa.
    Poi però toccò a lei parlare del suo passato, e forse parlò un po’ troppo cripticamente di una parte della sua famiglia. La domanda di Jackson – anche se forse non avrebbe dovuto – la prese in contropiede. Abbassò lo sguardo con fare un po’ concentrato, un po’ colpevole. - Oh, no no - si affrettò a chiarire con un mormorio, guardandosi attorno nel buio. - Non è questo. Ovvio che sono affezionata al mio fratellastro… mio fratello - ancora una volta si corresse, ma con più decisione. - È che lo conosco appena, nonostante la vicinanza ci sono stata insieme troppo poco tempo… ha solo cinque anni, comunque - specificò, forse per rendere la cosa meno pesante. Le premeva chiaramente parlare del sangue del suo sangue, invece di Hans, il compagno della madre. Ma poi si ricordò che Jackson l’aveva tirato in ballo, quindi aggiunse - Non ho niente nemmeno contro il nuovo compagno di mia madre. Ma lui lo conosco ancora meno - chiosò con un’alzata di spalle. Insomma, nessuna tragedia greca, e questo a lei sembrava bastare.
    In quanto a tragedie greche, parlarono rigorosamente anche del padre. Qui rasentarono proprio la follia, con certe immagini. Lei non si contenne e si mise a ridere, nonostante l’iniziale imbarazzo del pensiero di una cena a tre. O a quattro, se Hilda voleva fare la ficcanaso. Comunque, finalmente Jackson si spiegò più chiaramente, ma lei continuava a sorridere mentre inarcava le sopracciglia con sorpresa. - E che tipo di pericolo? Il pericolo di qualcuno che non sa stare zitto in tempo e dice sempre quella parola di troppo senza volere, o di qualcuno che fa allusioni volute e si diverte a vedere le reazioni? - lo interrogò subito, sinceramente curiosa ma anche divertita da entrambe le immagini. Da come osservava Jackson alla fioca luce del cellulare, cioè con aria sospettosa, lei optava per la seconda ipotesi. - In ogni caso, sarebbe davvero divertente - ribadì alla fine, quasi con allegria. Ma continuava a rimanere con i piedi per terra, e si sognava di dare delle speranze concrete all’evento. Per il momento, almeno.
    Quindi tornò a sorridere quando parlarono di Watson e Holmes. - Allora noi interpreteremo questa versione qui - decretò quasi con dolcezza, e un sorriso amabilmente impertinente. Ma divertito. Alla fine tornarono nuovamente a Harry Potter, con le brillanti idee di Jackson sul ballo che si sarebbe tenuto come evento nella struttura universitaria. Annuì prontamente in risposta alla descrizione di Barty Crouch Jr… sì, Jackson poteva benissimo impersonarlo. - Saresti perfetto - ribadì con un largo sorriso ironico ma sincero al contempo, profondamente grata che lui non avesse risposto con un sorriso da pazzo alla Barty. Quindi toccò a lei, e si pavoneggiò scherzosamente sentendosi affiancare a Hermione. Anche se forse non era proprio una bella cosa… ma comunque si dimenticò presto del resto, visto che era stata affiancata anche a Luna. - Mi stai dicendo che sono fuori di testa? - gli domandò con una finta voce offesa. O forse aveva qualche altro tratto di Luna. In fondo era un personaggio molto affettuoso e leale, a modo suo. Ecco, nel dubbio gli sorrise lo stesso.
    Nel frattempo tornarono a parlare di famiglia. Annuì sentendo il commento di Jackson. - Vero. Insomma, procede tutto normalmente - scherzò anche lei, tranquilla. Poi rimase in ascolto per capire qualcosa in più sugli zii del ragazzo. Ebbe un altro indizio sul fatto che il periodo delicato di Jackson fosse protratto e complesso, ma chiaramente non fece domande. Doveva aspettare che il passo venisse da lui. - È normale che si preoccupino - commentò con un piccolo sorriso. Osservò quel poco che vedeva di Jackson mentre ‘sparecchiava’, e non fece nemmeno in tempo a dargli una mano che il ragazzo già pensava al riposo. Ecco, si aspettava un po’ di preavviso per questo, e la domanda la mandò un po’ in confusione, ma cercò di riprendersi dopo un piccolo verso di esitazione. - Certo… ma la vedo un’impresa difficile. Tu avevi qualcosa in mente? - gli domandò alla fine, tentando solo a quel punto un’occhiata nella sua direzione. Cioè, lei al momento non aveva l’energia per pensare. E doveva ancora capire se e come sarebbe riuscita a dormire. Ma nel frattempo si affidava ancora una volta a Jackson.


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