//I felt good to be out of the rain

Elspeth-Natsuki-Sophie

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    Elspeth raccolse la massa informe di ricci neri che le era ricaduta sulla spalla e la strattonò con stizza in alto, per poi legarla in uno chignon piuttosto imbizzarrito e scompigliato; un'audace ciocca le ricadde sulla fronte ampia e nell'ennesimo tentativo di tirarsela via, la ragazza si graffiò con le unghie qualche centimetro a destra del sopracciglio.
    Fantastico pensò poi, cercando di capire l'entità del danno con una tastatina di controllo; non sanguinava, questo era un bene.
    Avanzò per le vie principali del centro, avvolta nella sua felpa grigia slacciata, senza curarsi più di tanto di chi rivolgeva occhiate perplesse o disdegnate alla grossa custodia nera che portava sulle spalle.
    Sapeva che molti trovavano di cattivo gusto i suonatori da strada e che qualche vecchia bisbetica alle volte chiamava addirittura la polizia, pur di farli sgomberare.
    Elspeht, da canto suo, con il suo accento americano e i rudimenti della lingua del luogo piuttosto basilari, avrebbe provocato ancora più irritazione.
    Abitava in Europa da tanto tempo oramai, ma tra le cose che non era mai riuscita a lasciarsi alle spalle c'era proprio quella cadenza esotica, l'accento della sua terra natia.
    Le sarebbe piaciuto poter parlare fluentemente tedesco, senza un briciolo di imperfezioni, ma se le cose erano andate a quel modo, un motivo doveva esserci.
    Aspettò che il nugolo di passanti e turisti si concentrasse a scemare via durante l'ora di punta per potersi muovere più agevolmente nel torrente cittadino di impiegati e operai, prima di raggiungere Marienplatz; aveva notato che il Giovedì era trafficata, ma non c'era la solita concorrenza di altri artisti a metterla in ombra, così quella era diventata la sua tappa fissa del Giovedì pomeriggio.
    Si accucciò in un angolino distante dal fulcro dell'azione, si sedette per terra dopo aver sfilato agilmente la custodia della chitarra e aprì la cerniera con un unico, lungo gesto.
    La sua piccolina era lì, lucida, blu elettrico come sempre, che scintillava sotto gli impetuosi raggi del sole. La imbracciò, cingendosela alla spalla destra e si mise a sedere a gambe incrociate.
    Lasciò che lo strumento ricadesse leggermente in avanti, visto che doveva aggiustare il bigliettino color avorio, sul quale aveva scritto in grassetto: " Danke schön".
    Si chinò in avanti, recuperando la cima della sua chitarra e la trasse a sè; strimpellò un paio di scale per assicurarsi che le corde fossero abbastanza tese e poi, accocolata la grande cassa dell'azzurra, cominciò ad inspirare e a muovere ritmicamente il braccio, suonando le note di una canzone che a lei piaceva moltissimo.
    La voce si inserì dopo poco:
    On the first part of the journey
    I was looking at all the life
    There were plants and birds and rocks and things
    There was sand and hills and rings

    Gli occhi ora seguivano le mani, le quali scendevano e salivano giù dalle corde, oppure cercavano la complicità dei passanti, i quali però non ricambiavano il suo sguardo speranzoso.
    The first thing I met was a fly with a buzz
    And the sky with no clouds
    The heat was hot and the ground was dry
    But the air was full of sound

    Quella canzone le era sempre venuta magnificamente, e finalmente il suo accento da straniera dava i suoi frutti; nessun'altro se non un abitante delle terre libere avrebbe potuto mai dare così tanta profondità a quel testo, che parlava di uno dei valori principali del Nuovo Continente; la libertà.
    Pur non essendo mai stata patriotica, Liz sperava di poter trasportare con la sua voce dolce e graffiata i suoi ascoltatori oltre le praterie degli indiani d'America ed ancora più su, nella dura e allo stesso tempo fertile terra canadese.
    Per questo, quando vide che la custodia era ancora vuota, non si diede per vinta.
    [...] You see I've been through the desert on a horse with no name
    It felt good to be out of the rain
    In the desert you can remember your name
    Cause there ain't no one for to give you no pain

    Sorrise tra le note, un secondo, quando vide un bambinetto fermarsi ad osservarla, e chinò lo strumento verso di lui, come per invitarlo a muoversi a sua volta, ma quello scappò dalla madre poco più avanti.
    Sembrava una giornata molto magra...




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    Quella giornata non era partita molto bene, si poteva dire che fosse un disastro dall'inizio alla fine, anche se non era ancora giunta veramente al termine. Era solamente passata metà. Non appena si era alzato, tutto aveva già iniziato a girare per il verso sbagliato.
    A lavoro aveva sgobbato come un mulo. Mai come quel giorno aveva lavorato così tanto – purtroppo anche commettendo qualche stupido errore da principiante –, solo per sistemare le varie spedizioni che erano giunte in libreria. Aveva dovuto anche spedire un sacco di mail, pacchi vari ed eseguire altre mansioni logistiche. Un vero stress.
    Era strano che, nella libreria dove lavorava, ci fosse così tanto lavoro. Era piccola, non propriamente in vista e, sicuramente, poco conosciuta. Eppure, aveva i suoi clienti fidati. I libri erano vari, non solo contemporanei, ma molti anche antichi, alcuni erano anche delle ristampe, altri invece erano forse i più vicini alle prime edizioni. Insomma, era una libreria che univa il vecchio ed il nuovo, con l'aggiunta della possibilità di avere anche libri in altre lingue, oltre che in tedesco. Dal suo punto di vista, era un piccolo gioiellino. Ma Natsuki era di parte, dato che ci lavorava.
    Era un bel posto, era stato estremamente fortunato ad aver trovato questo tipo di lavoro. Amava stare circondato da così tanti libri, si sentiva molto a casa. E poi, non lontano dalla sua libreria, c'era pure uno dei suoi negozi di musica preferiti. Era proprio una bella zona, ne era sempre più convinto. Come lo era per il fatto di aver fatto la scelta giusta trasferendosi proprio a Monaco.
    Finito il suo estenuante turno, aveva deciso di farsi un giro per il centro. Non era strano trovarsi ai lati delle strade qualche artista che strimpellava strumenti e canticchiava. A suo dire, era una cosa stupenda. Aveva sempre avuto una certa ammirazione per gli artisti di strada e musicisti in generale, anche se sapeva che per loro non era sempre vita facile. Eppure, molto spesso, li vedeva con un certo sorriso, anche se non racimolavano poi molti spiccioli.
    Come quello precedente, anche quel giorno trovò qualche artista che suonava e cantava. Non ci fece subito caso, le superò senza accorgersene. Purtroppo era impegnato al telefono con il fratello. Ma quando sentì la sua voce, si bloccò. Si fermò poco più avanti, chiudendo la chiamata con il fratellino. Wow pensò riponendo il telefono nella tasca posteriore dei pantaloni. Non aveva mai sentito quella canzone, ne era sicuro. O almeno non quella versione che stava cantando la ragazza.
    Si avvicinò all'artista, osservandosi distrattamente in giro. Non capiva perché non ci fossero più persone che si fermavano ad ascoltare la ragazza. Proprio non riusciva a concepire il totale disinteresse della gente. Lui, invece, era già stato rapito dalla melodia. Quasi inconsciamente aveva iniziato a seguire il ritmo, tamburellando le dita sulla gamba.
    Spezzò per qualche secondo il ritmo del suo tamburellare, per prendere dal portafoglio qualche moneta – non solo centesimi a caso – e lasciarle nella custodia che la ragazza aveva davanti a sé. Si ritrasse un po', per non ostruire la vista ad altri passanti e tornò a seguire il ritmo.
    Non si accorse neanche per sbaglio di aver iniziato a canticchiare, quasi silenziosamente, le parole. Era davvero una bella canzone, anche se non la conosceva affatto.

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    Quando la giovane vide entrare nel suo campo visivo, inizialmente lo liquidò con un sorriso e continuò a concentrarsi sul suo pezzo, che d'altro canto, stava per giungere al termine. Era quasi certa che anche lui, come tutti gli altri, l'avrebbe osservata per un po', avrebbe canticchiato due o tre parole e poi se ne sarebbe andato.
    La mano di lei continuò a scendere e a risalire mentre la canzone aumentava di ritmo ed Elspeth scendeva con la voce fino a far diventare i "la la la " declamati prima un sibilo dolce e quasi impercettibile.
    Inserì una serie di arpeggi non originali, una nota stilistica che di tanto in tanto le piaceva inserire nelle sue personalissime versioni, e continuò ad accompagnare il ritmo serrato con i suoi sussurri.
    Fu proprio in quel momento, gli occhi bassi e concentrati che puntavano al marciapiede davanti a lei, che vide un paio di piedi avvicinarsi sempre più a lei ed infine una figura esile chinarsi per lasciare qualche moneta nella custodia.
    Elspeth le sentì suonare, ma non ebbe nè il tempo nè la voglia di guardare quante fossero; piuttosto, alzò lo sguardo sul viso di quello sconosciuto, che ora ondeggiava a e canticchiava, trascinato dalla musica.
    Sollevò lievemente il sopracciglio sinistro, piacevolmente sorpresa da quell'attenzione, e ne approfittò per recuperare il ritmo e la tonalità classica della canzone, seguendo ora con molta più attenzione il figuro canterino in piedi davanti a lei.
    Le sembrava che stesse seguendo il testo, ma era come quei bambini che sanno le parole per metà; alcune le tirano fuori, altre se le mangiano.
    La cosa, in ogni modo, le faceva molto piacere, e prese ad incalzarlo abbassando appena il tono della voce, per sentire anche quella del suo accompagnatore. Era piuttosto roca- forse per il fatto che stesse canticchiando a bassavoce- ma era piacevolmente dolce, pur essendo quella di un uomo, e sopratutto, riusciva a seguire con versalità tutte le note, anche quelle che Elspeth amava far brillare molto in alto.
    Non appena individuò l'esatto ritmo di lui, Elspeth riprese da dove aveva interrotto, sorridendogli con gli occhi.
    Le ultime note vennero bruciate dalle corde in poche, abili battute, e la ragazza rimase ferma immobile per qualche secondo, una volta terminato il brano.
    Stava pensando; si liberò dalla tracolla e appoggiò la chitarra orizzontalmente sulle ginocchia piegate, rivolta verso l'alto in attesa di essere utilizzata di nuovo.
    Non sapevo ci fosse un fan accanito degli America, da queste parti. Cominciò quindi a parlare con tono amichevole.


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    Non la conosceva eppure la stava già canticchiando. Certo, non sapeva bene tutte le parole, ma si stava arrangiando piuttosto bene. Aveva una melodia accattivante, gli piaceva parecchio. Anche se continuava ad essere all'oscuro di chi fosse quella canzone.
    Già non si aspettava di iniziare a canticchiare, che lei riprendesse il ritmo e sembrasse accompagnare lui, fu sconcertante. Ma non proprio nel senso negativo del termine. Tutt'altro. Non se l'aspettava eppure non si sconvolse, non si scompose più di tanto. Anzi, alzò leggermente la voce e cantò veramente. Un sorrisetto sempre ben visibile in volto.
    Amava cantare, come suonare la sua fidata chitarra. La musica l'aveva da sempre affascinato, ma non l'aveva mai visto come proprio stile di vita. Non il suo, perlomeno. Alla fine, faceva il cantante a tempo perso, ma lo faceva perché gli piaceva. L'importante per lui era ritenersi soddisfatto e felice.
    In quel momento, a canticchiare allegramente quella canzone a lui totalmente sconosciuta, si sentiva parecchio felice. Forse era proprio la canzone in sé, chi lo poteva sapere.
    La canzone terminò poco dopo lasciando nel ragazzo un senso di soddisfazione, si poteva dire. Non si mosse molto, spostò solo il peso da una gamba all'altra. Un leggero soffio di vento fece svolazzare la sua camicia a quadri rossa e nera, la quale era aperta e lasciava vedere la maglietta bianca semplice indossata sotto. Non faceva per nulla freddo, per fortuna.
    Lui se me stava zitto zitto, con quel leggero sorriso in volto. Rimase come in attesa, osservando distrattamente l'artista, sempre seduta a terra con la chitarra sulle ginocchia. Di lì a poco, ecco che la ragazza iniziò a parlare. Natsuki ampliò appena il sorriso - Veramente, è la prima volta che sento questa canzone. - rispose con tranquillità, forse con un lieve imbarazzo poco nascosto. - Molto bella comunque. Mi ha completamente catturato, da come si è potuto notare dato che mi sono messo persino a canticchiarla. - scherzò con il suo fare tranquillo e leggero.
    Chissà se la sua intromissione nella performance della ragazza le aveva recato fastidio o meno. Ma, da come si era evoluto il tutto durante la canzone, non sembrava. O almeno così pareva a lui. In ogni caso, non le chiese nulla.

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    Lo osservò a lungo, come se stesse cercando di capire se quel ragazzo fosse in vena di parlare, oppure no, quando la risposta arrivò, ed ebbe un che di sorprendente;
    - Veramente, è la prima volta che sento questa canzone. Disse infatti, con una nota appena accennata di imbarazzo nella voce.
    Elspeht lo scrutò ancora per un attimo, quasi incredula...Non poteva non essere d'accordo con la frase che il giovane pronunciò subito dopo.
    Allora deve essermi venuta discretamente, se è riuscita a colpirti!
    Commentò la ragazza, lasciandosi sfuggire una risatina al termine della frase. La cosa la rendeva felice, orgogliosa del suo operato; per lei cantare era come trasmettere un messaggio, un'esperienza, un'emozione a chi la stava semplicemente ad ascoltare.
    Era una cosa semplice, banale, eppure la faceva stare bene sentirsi apostolo di qualcosa.
    Lasciò scivolare lo sguardo oltre la figura del giovane uomo, facendolo passare tra un passante e l'altro, con noncuranza. Stava cercando l'ispirazione per il pezzo successivo, ma in quel momento non le veniva in mente nulla di buono.
    Prese a tamburellare con le dita sulla cassa blu dello strumento poggiato sulle ginocchia e riprese a concentrarsi sul suo interlocutore di fortuna.
    Comunque hai un gran senso del ritmo e un buon timbro; non sei esattamente un amatore, vero? Gli chiese, rivolgendogli un'occhiata complice e incorniciata dalla malizia di chi sta chiedendo a qualcuno di raccontargli un segreto.
    Elspeth lo avrebbe mantenuto senza riserve.



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    A quanto pareva, il fatto che si fosse intromesso nella sua performance, non le diede fastidio. Era un sollievo ed era una bella sensazione, anche, notare quanto sembrasse sinceramente soddisfatta dall'attenzione che la sua esecuzione avesse catturato seriamente l'attenzione del ragazzo. Ok che per catturare l'attenzione di Natsuki bastava veramente poco, soprattutto se ti trattava di musica e/o libri.
    In ogni caso, non si prolungò più di tanto a parlare. Lui che aveva spesso quella parlantina che sfiancava persino i muri, quel giorno volle rimanere calmo. Quasi cauto, come se non volesse rovinare il momento. O forse non voleva rubare troppo tempo alla ragazza che magari voleva suonare ancora qualcosa e non parlare con lui.
    Ci fu quel momento di silenzio, dove sembrava che nessuno sapesse cosa voler fare. Se parlare, andarsene o suonare qualche altro pezzo. Natsuki si osservava distrattamente. Il suo disappunto, comunque, non scemò. Trovava veramente strano che nessun altro si fosse fermato ad ascoltare la giovane cantare. Erano tutti troppo impegnati dalla vita per fermarsi qualche minuto? O forse era solo lui quello strano che si era fatto catturare come niente, chiudendo persino il telefono in faccia al fratello. Che, a proposito, avrebbe dovuto richiamare per scusarsi. Lui, in ogni caso, rimase tranquillo e zitto sempre là.
    Voleva dire qualcosa ma non ne ebbe materialmente il tempo dato che fu lei stessa a riprendere a parlare. Cosa piuttosto apprezzata dal ragazzo. Ampliò di poco il sorriso, annuendo leggermente. - Beh, grazie. Hai una voce particolare, molto bella. - iniziò, grattandosi per qualche secondo la guancia sinistra. Non era propriamente abituato ai commenti positivi riguardo le sue doti canore, dato che veramente in pochi l'avevano sentito realmente cantare.
    Non che fosse imbarazzato, non del tutto comunque, solo che venne colto alla sprovvista. Ma non avrebbe dovuto. Insomma, la ragazza sembrava sapere il fatto suo sulla musica. - Non esattamente. Insomma, non che abbia studiato in qualche scuola o simili, più che altro è stato tutto un 'fai-da-te'. Con qualche aiutino extra di persone più competenti di me. - Non sembrava essere proprio quello che forse la ragazza si aspettava, ma sapeva spiegarsi così. Non era mai stato ad una scuola di musica, aveva tutto imparato da sé. Con aiuti esterni, quello sì. Ma non era mai entrato in una scuola specializzata.
    Forse le stava rubando troppo tempo, ma era più forte di lui. - Hai anche un accento particolare. Io non sarei mai riuscito a eseguirla come hai fatto tu. - disse, senza in realtà fare domande – anche se ne era tentato. Anche senza di esse, la conversazione poteva evolversi da sé. O almeno così sperava.

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    Elspeth Whiteleaf
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    Elspeth si concesse qualche secondo di riflessione, garantito dal fatto che il suo "ascoltatore" avesse cominciato a parlare; non aveva frequentato accademie o conservatori, ma era evidentemente curioso e desideroso di imparare, tant'è che aveva deciso di arrangiarsi ed imparare per conto suo i rudimenti della musica.
    Sai, disse lei, appoggiando i gomiti sulla cassa così da poter appoggiare il mento sui palmi La passione funziona mille volte meglio di qualsiasi scuola o conservatorio.
    Rimase ad osservare per un po' un punto imprecisato davanti a sè, come se fosse immersa nei suoi ricordi; certo, il suo caso era inusuale- non credeva affatto di essere l'unica al mondo, non si sentì mai una persona da compatire per la sua storia- ma si rese subito conto che a rendere il suo racconto così particolare altro non era se non la musica.
    Il ricordo di quando il furgone dei traslochi fece irruzione in casa loro, a Ottawa, si fece improvvisamente vivido. Elspeth era molto piccola, minuscola quasi, ma salutò comunque con la manina il cancello della sua adorata casetta che si allontanava. Stretta tra le braccia, la sua bambola preferita. Era qualcosa di impermeabile nei suoi ricordi, ma Liz sapeva che doveva essere grata per quel poco di fortuna che aveva avuto. E poi, le piaceva la sua storia.
    Non avrebbe avuto lo stesso sapore dolceamaro, senza le note della sua voce che migliorava di anno in anno, mosse dalla sorpresa e della buona volontà..
    La voce del ragazzo la riscosse dai suoi pensieri:
    Hai anche un accento particolare. Io non sarei mai riuscito a eseguirla come hai fatto tu.
    Girò la testa verso di lui e annuì, come per confermare quello che il ragazzo non aveva detto, ma probabilmente aveva pensato:
    Hai ragione, non sono di qui. Vengo da Ottawa, sono canadese!
    Gli rivolse un'occhiata complice, prima di concludere con un ammiccamento
    Ma dai tuoi tratti, si direbbe che anche tu non sia un vichingo.

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    Scusa per il ritardo!
     
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